Guida in stato d’ebbrezza e incidente: come comportarsi?

In un recente articolo abbiamo avuto occasione di chiarire quali siano le sanzioni applicabili nel caso in cui si incorra nel reato di guida in stato d’ebbrezza, accennando al fatto che le pene sono più severe nel caso in cui, da ubriachi al volante, si sia causato un incidente.

Cosa intende, però, la normativa per “incidente”?

Anzitutto, occorre ricordare che il concetto di incidente accolto dalla giurisprudenza comprende qualsiasi avvenimento che interrompe il normale svolgimento delle circolazione stradale, causando un pericolo per la collettività (si veda, tra le altre. Cass. Pen. sent. n. 27211/2019).

Quindi, in questo concetto sono ricomprese anche le uscite autonome dalle sede stradale che non abbiano provocato danni a terzi.

Va però precisato che il conducente in stato di ebbrezza deve aver “provocato” l’incidente.

Secondo l’interpretazione preferibile, non basta che sia il guidatore sia coinvolto in un incidente, ma deve esserci un nesso di strumentalità – occasionalità tra lo stato di ebbrezza e l’incidente provocato, nel senso che lo stato di alterazione deve aver influito sulla causazione del sinistro.

Ne consegue che tale nesso dovrà essere escluso, per esempio, nel caso in cui un soggetto ubriaco, fermo al semaforo rosso, venga tamponato da un altro veicolo.

Quali sono le conseguenze di un incidente provocato dal guidatore brillo?

In caso di sinistro le sanzioni previste per le diverse soglie di tasso alcolemico, di cui abbiamo parlato nel precedente articolo, sono raddoppiate, ed è previsto il fermo del veicolo per 180 giorni, salvo non appartenga ad una persona estranea al fatto illecito.

Inoltre, nel caso di tasso particolarmente elevato (terza soglia, oltre 1,5 g/l) la patente di guida è sempre revocata.

Questo automatismo ha fatto sorgere dei dubbi, poiché fatti completamente diversi possono portare alle medesime conseguenze: pensiamo all’ipotesi del soggetto ubriaco che, in una zona non abitata, procedendo a bassissima velocità esca di strada senza recare danno ad alcuno e, invece, a chi, sempre nel medesimo stato di ebbrezza, tenga in pieno cento in orario di punta una condotta di giuda grandemente pericolosa, superando i limiti di velocità e procedendo a zig – zag, andando ad urtare altre vetture.

Bene, con l’attuale assetto normativo, ad entrambe le condotte consegue la sanzione amministrativa accessoria della revoca della patente per la medesima durata, scelta che, a tutta prima, appare irragionevole.

Di conseguenza, recentemente la Corte d’Appello di Milano ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 186, CdS, nella parte in cui prevede che all’accertamento dell’aver causato un incidente con tasso superiore a 1,5 g/l consegua automaticamente la revoca della patente per violazione, in particolare, del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.

Ebbene, la Corte Costituzionale, con la sentenza 194 emessa in data 27/10/2023 ha chiarito che, sebbene nel nostro sistema ogni fattispecie sanzionata con una pena fissa sia “indiziata” di illegittimità, nel caso in parola la scelta del legislatore non è parsa irrazionale, sia alla luce della gravità della condotta, che pone in serio pericolo l’incolumità tanto del soggetto agente quanto degli altri utenti della strada, che della possibilità per il Giudice di poter pur sempre parametrare alla gravità del fatto la – sola – sanzione penale (arresto ed ammenda).

Dunque, in entrambi i casi, la precedente abilitazione alla guida si dovrà considerare come mai ottenuta ed il conducente dovrà rifare l’esame. Sarà, inoltre, considerato a tutti gli effetti un neopatentato.

Inoltre, l’art. 219 del Codice della Strada prevede che, in caso di revoca della patente per uso di alcool o droghe, vi sia il divieto di conseguire una nuova patente prima che siano trascorsi tre anni dall’accertamento del reato.

Tale disposizione non brilla certo per chiarezza, tanto che ci si interroga circa quale sia il momento iniziale da prendere in considerazione ai fini del decorso del triennio.

Alcuni interpreti, da una parte, ritengono che il termine vada fatto decorrere dalla data di accertamento della violazione, mentre il Ministero dell’Interno ha diramato una circolare (09/11/2020, prot. n. 15224) ove specifica che tale termine dovrà essere fatto decorrere dalla data di passaggio in giudicato della decisione che accerta il reato.

Ma cosa fare nel caso in cui questo accertamento in sede penale manchi?

Il caso più frequente nella prassi è quello della concessione della messa alla prova (istituto di cui abbiamo parlato in dettaglio nel nostro articolo del blog che puoi leggere qui: https://studiopalermomartini.it/ebbrezza-messa-alla-prova/)

Infatti, all’esito positivo della messa alla prova non consegue alcun accertamento di responsabilità, poiché il procedimento si conclude con una sentenza “in rito” con cui viene dichiarata l’estinzione del reato.

In tal caso, il Giudice penale non può decidere in ordine alla revoca della patente, ma deve trasmette gli atti alla Prefettura affinché, all’esito di autonoma istruttoria, disponga la revoca (in tal senso, tra le tante, Cass. Pen., sent. n. 3717/2023).

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E, quindi, in tal caso da quando inizia a decorrere il triennio?

La questione non è certo di poco momento, posto che il provvedimento di revoca può intervenire anche a distanza di diversi anni dal momento del fatto, con le immaginabili ricadute dal punto di vista pratico.

Invero, il Giudice di Pace di Udine, in un procedimento avente ad oggetto l’annullamento di un provvedimento di revoca della patente di guida, aveva sollevato una questione di legittimità costituzionale sul punto, per contrasto con il principio di uguaglianza (Art. 3, Cost.) in quanto facendo decorrere il triennio dal passaggio in giudicato della sentenza, si sarebbe venuta a creare una ingiustificata una disparità di trattamento a seconda della velocità dei singoli Tribunali nel definire il procedimento.

Tuttavia la Corte Costituzionale, con sentenza n. 152 emessa in data 18/07/2023 ha dichiarato la questione manifestamente inammissibile, alla luce del fatto che non era stata chiarita la rilevanza del quesito nel caso concretamente sottoposto all’attenzione del primo giudicante. Tuttavia, la parte più interessante della decisione consiste nel rilievo della Corte Costituzionale secondo cui, nel quadro giurisprudenziale che riguarda questa materia, il Giudice di Pace non ha considerato il fatto che, secondo un orientamento (peraltro ad oggi disatteso da alcune Prefetture…) nel termine di 3 anni per poter conseguire una nuova patente, va scomputato l’eventuale periodo di sospensione che ha precedeuto il provvedimento di revoca (orientamento ribadito da ultimo dal Consiglio di Stato, sent. 2465/2018).

Dunque, salvo che la questione venga nuovamente portata all’attenzione della Corte Costituzionale, sembrerebbe che, allo stato, nel caso di messa alla prova con esito positivo, al termine del procedimento penale il Prefetto possa disporre – previa autonoma istruttoria – la revoca della patente.

Di conseguenza, il termine triennale per ottenere nuovamente l’abilitazione di guida dovrebbe decorrere dalla data di emissione del provvedimento di revoca, scomputando l’eventuale periodo di sospensione che ha preceduto la revoca.

Avv. Patrizio Paolo Palermo ©

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