Convivenza di fatto e matrimonio: quali differenze?

Una delle domande che mi viene posta di frequente in consulenza, soprattutto dopo l’entrata in vigore della Legge Cirinnà, è “quali diritti ho come convivente di fatto?

Oppure “cosa cambia tra essere sposati ed essere conviventi?

Per rispondere a queste domande occorre fare un passo indietro e chiarire che cosa si intenda per convivenza di fatto, per registrazione della convivenza e cosa sia, invece, il contratto di convivenza.

La convivenza di fatto, anche detta convivenza more uxorio, è un fenomeno sociale che esiste da moltissimo tempo ma è stato disciplinato espressamente come situazione giuridica rilevante per l’ordinamento con la Legge n.76/2016 (c.d. Legge Cirinnà).

Che cos’è la convivenza di fatto?

Secondo l’art. 1, comma 36 della Legge Cirinnà sono «conviventi di fatto» due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

Un requisito ulteriore che si ricava dalle disposizioni seguenti è che i conviventi devono coabitare: infatti, per costituire una convivenza di fatto registrata, essi devono dichiarare all’ufficio anagrafe del comune in cui risiedono di:

– coabitare al medesimo indirizzo di residenza;

– essere uniti stabilmente da un legame affettivo di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale;

– non essere vincolati da rapporti di parentela, affinità, adozione, matrimonio o unione civile contratta tra loro o con altre persone.

La convivenza è quindi un legame di fatto che può esistere anche in mancanza di tale dichiarazione resa all’anagrafe del comune di residenza. Tuttavia, se non viene effettuata tale dichiarazione, si ha una convivenza non formalizzata (o non registrata) dalla quale non scaturiscono i diritti e i doveri previsti dalla Legge Cirinnà, ma solo alcuni riconosciuti anche in precedenza per via giurisprudenziale.

Se la convivenza di fatto non è registrata, inoltre, è molto più complesso dimostrarne l’esistenza.

Quali sono i diritti e i doveri del convivente more uxorio?

Ancor prima dell’emanazione della Legge Cirinnà, la giurisprudenza riteneva estensibili ai conviventi alcuni dei diritti e doveri nascenti dal matrimonio, quali quelli di solidarietà, di contribuzione ai bisogni della famiglia, di reciproca assistenza morale e materiale.

La Legge n. 76/2016 ha precisato meglio quali diritti-doveri spettano al convivente, equiparandolo al coniuge per alcune situazioni:

a) in caso di malattia o ricovero, i conviventi hanno diritto reciproco di visita, assistenza e accesso alle informazioni personali previste per i coniugi e i familiari;

b) ciascun convivente di fatto può designare l’altro suo rappresentante con poteri pieni o limitati in caso di malattia che comporti incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute. Il convivente può essere anche indicato come rappresentante per le decisioni da assumere, in caso di morte, in relazione alla donazione degli organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.

Per designare il proprio convivente quale rappresentante a tal fine è sufficiente una dichiarazione scritta di pugno, oppure, in caso di impossibilità di redigerla, resa alla presenza di un testimone.

c) il convivente può chiedere che si proceda alla nomina di un amministratore di sostegno in favore dell’altro e può essere nominato amministratore di sostegno dell’altro.

Inoltre, ciascun convivente può nominare l’altro proprio amministratore di sostegno per il caso di incapacità futura. Tale designazione può essere contenuta nel contratto di convivenza, eventualmente accompagnata da indicazioni sull’esercizio dei poteri da parte dell’amministratore di sostegno e sulle volontà del (futuro) amministrato, che potranno poi essere recepite nel decreto di nomina emesso dal Giudice tutelare. Oppure tale designazione anticipata può essere effettuata in una scrittura privata autenticata o in un atto pubblico, ma la nomina in futuro spetta comunque al Giudice, che terrà conto della designazione.

d) Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonchè agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.

e) Infine, in caso di cessazione della convivenza di fatto, il Giudice stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. In tali casi, gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza.

 

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Quali sono le regole applicabili alla casa familiare dove i conviventi dichiarano di abitare?

A differenza di quanto spesso si sente dire, va immediatamente chiarito che in presenza di figli, anche se i genitori sono solo conviventi e non sposati, la casa familiare in cui risiede la famiglia, in caso di cessazione della convivenza, può essere assegnata al genitore con cui i bambini risiedono in via prevalente, anche se non si tratta del proprietario della casa.

Al di fuori dell’ipotesi di assegnazione della casa familiare in favore dei figli, in caso di cessazione della convivenza, la casa rimane di proprietà esclusiva dell’intestatario/a, che ha diritto ad ottenere il rilascio da parte dell’altro convivente.

Se la casa familiare era condotta in locazione, allo stesso modo, il rapporto rimane in essere con il convivente intestatario del contratto e l’altro non ha diritto di subentrarvi.

In caso di morte del convivente, la Legge prevede importanti diritti sulla casa familiare a favore del convivente superstite.

Si possono schematizzare tre ipotesi:

1. se il convivente deceduto era proprietario della casa familiare, l’altro ha diritto di continuare ad abitarvi per

  • un minimo di due anni
  • o, se la convivenza è durata più di due anni, per un periodo pari alla durata della convivenza, ma in ogni caso non superiore a cinque anni;
  •  se, invece, nella casa coabitano figli minori o disabili, per un periodo non inferiore a tre anni.

In ogni caso, tale diritto viene meno se il convivente superstite cessa di abitare stabilmente nella casa familiare o in caso di nuovo matrimonio, unione civile o convivenza di fatto.

2. Se il convivente deceduto era comproprietario della casa familiare, salvo che sia previsto diversamente dal testamento, si verrà a creare una comproprietà tra il convivente e gli eredi del defunto.

3. Se la casa familiare era locata al convivente deceduto, l’altro avrà diritto a subentrare nel contratto di locazione. Tale diritto di succedere nel contratto di locazione sussiste anche in caso di recesso da parte del convivente dal contratto di locazione.

Il contratto di convivenza è obbligatorio?

No, il contratto di convivenza è un accordo facoltativo, che i conviventi possono scegliere di aggiungere alla dichiarazione di convivenza resa all’anagrafe del comune.

Il contratto di convivenza si rende necessario quando i conviventi vogliono aggiungere una regolamentazione più dettagliata dei loro rapporti patrimoniali, rispetto a questo elenco minimale di diritti-doveri previsti dalla Legge Cirinnà.

Del contratto di convivenza, però, scrivo più in dettaglio in questo articolo del blog, che Ti invito a leggere, perchè ora mi preme giungere alla fatidica domanda che mi viene posta…

Matrimonio e convivenza: cosa cambia?

A differenza del matrimonio, la convivenza può essere registrata anche da due persone dello stesso sesso.

Non esiste, nè può essere previsto all’interno del contratto di convivenza un obbligo di fedeltà, che è invece un diritto-dovere essenziale nel rapporto matrimoniale.

Nel matrimonio, se i coniugi non scelgono un regime patrimoniale diverso, si applica automaticamente il regime della comunione legale dei beni. Viceversa, salva la specifica previsione del contratto di convivenza in tal senso, tra i conviventi di fatto non si instaura alcun regime patrimoniale e ciascuno di essi rimane titolare esclusivo dei beni che ha acquistato durante la convivenza: ciò significa che se, come spesso accade, l’altro convivente ha contribuito all’acquisto di un bene intestato al primo (es. la casa) non potrà vantare un diritto di comproprietà sul bene, ma potrà eventualmente solo richiedere il rimborso monetario di quanto ha versato per l’acquisto.

Aspetto importantissimo da considerare è poi il fatto che, a differenza del marito/moglie, il convivente di fatto NON ha nessun diritto successorio in caso di morte dell’altro convivente. Per nominare erede il proprio convivente è dunque indispensabile redigere un testamento.

Ulteriore differenza pratica particolarmente rilevante inerisce la modalità di scioglimento: mentre per il matrimonio è necessario procedere con la separazione e poi il divorzio per ottenere lo scioglimento, in caso di cessazione della convivenza è sufficiente la dichiarazione anche di uno solo dei conviventi, che può essere assunta in qualsiasi momento e senza forme particolari, salvo quelle necessarie per la risoluzione dell’eventuale contratto di convivenza stipulato. Va precisato, tuttavia che, in presenza di figli minori o maggiorenni non economicamente sufficienti la procedura è ora identica a quella prevista per la separazione o il divorzio di persone coniugate.

Merita, infine, sottolineare due credenze erronee e molto diffuse sulla scorta delle quali spesso vengono assunte delle decisioni sbagliate:

1. mi capita – purtroppo spesso – di sentir dire “ma come Avvocato, anche se siamo conviventi la madre/il padre dei miei figli può vedersi assegnata la casa coniugale…? Ma io non mi sono sposato/a apposta per non rischiare di perdere la casa!” Ecco, lo abbiamo visto sopra: l’assegnazione della casa familiare in caso di separazione / divorzio / cessazione della convivenza è dettata nell’esclusivo interesse dei figli, quindi, al Giudice non importa che Tu sia sposato o meno, perchè potrà assegnare la casa all’altro convivente, anche se non proprietario, per il solo fatto che risiede coi figli in via prevalente.

2. Altrettanto spesso accade che mi venga detto, magari subito prima della separazione “Avvocato, fosse stato per me io non mi sarei mai sposato/a….l’ho fatto solo per i figli!“. Si tratta di un’altra convinzione erronea poichè ormai da anni tutti i figli sono equiparati e i diritti/doveri dei genitori nei confronti dei figli sono identici sia che i figli siano nati nel matrimonio, sia da conviventi.

Quindi, in sintesi, non ci si sposa per i figli, perchè a loro non cambia nulla!

Se devi prendere una decisione così importante ascolta il Tuo cuore, ma prima ancora chiedi a un Avvocato esperto in diritto di famiglia 😉

Avv. Alberta Martini Barzolai ©

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