La responsabilità penale del genitore che omette di mantenere i figli.

Il genitore disoccupato è tenuto sempre e comunque a mantenere i figli?

Dal momento della nascita, il nostro ordinamento riconosce in capo alla prole una serie di diritti, a cui corrispondono altrettanti obblighi in capo ai genitori. Tra questi vi è quello di fornire ai figli tutta l’assistenza necessaria al loro corretto sviluppo.

I diritti dei figli trovano tutela non solo in campo civile, ma anche penale: il nostro legislatore ha previsto, infatti, due apposite fattispecie: l’art. 570 e l’art. 570 bis, c.p., introdotto nel 2018 dal D.Lgs 21/2018 che ha trasfuso nel codice penale quanto previsto dall’ art. 12 sexies, L. 898/70 .

Entrambe queste fattispecie puniscono la violazione degli obblighi di assistenza familiare, ma presentano alcune sostanziali differenze.

L’art. 570 c.p. prevede tre tipi di condotte.

La prima punisce chi “abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale familiare, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale“.

La seconda consiste nel fatto di chi “malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge“.

La terza, quella di gran lunga più ricorrente nella prassi, riguarda colui che “fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, agli inabili al lavoro, agli ascendenti ovvero al coniuge non separato per colpa“.

Ma cosa si intende per mezzi di sussistenza?

In tale nozione, che è diversa da quella civilistica di alimenti e mantenimento, vanno ricompresi non solo i mezzi indispensabili per la sopravvivenza (vitto, alloggio), ma anche le risorse che consentano di soddisfare, anche in misura minima, la necessità della vita quotidiana, come, ad esempio, abbigliamento, istruzione, trasporto, comunicazione, ecc.

È necessario, dunque, che, a causa della condotta del genitore, il minore versi in stato di bisogno, ossia gli siano fatti mancare i mezzi indispensabili per la sua sopravvivenza, seppur nell’accezione ampia già sopra ricordata.

E se il genitore non può provvedere?

Dovrebbe essere parimenti accertata la concreta capacità del genitore di fornire al minore questi mezzi minimi, posto che l’assoluto stato di indigenza dell’obbligato, operando come una vera e propria esimente, dovrebbe far venir meno il reato, secondo il principio “ad impossibilia nemo tenetur” (nessuno è tenuto a fare l’impossibile).

Non è però sufficiente essere disoccupati o in difficoltà economica.

Occorre sin da subito precisare che, per far venir meno questo reato, l’incapacità economica del genitore deve integrare una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti (Cass. Pen., sent. n. 41362/2010): incombe, dunque, sull’interessato l’onere di allegare elementi dai quali possa desumersi l’impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione, che non potrà essere esclusa sulla base della mera documentazione del suo stato di disoccupazione o da una situazione di difficoltà economica.

La giurisprudenza ha adottato una lettura particolarmente severa di tale principio, ritenendo che non basti il mero stato di disoccupazione dell’obbligato, ma che occorra prova sia dell’assoluta assenza di introiti di altro tipo (per es. risparmi, rendite derivanti da altri beni personali come immobili concessi in locazione, lavoro in nero….) sia del fatto che tale stato non derivi da sua colpa (cfr. Cass., sez. VI, 39411/2017). Dunque la Cassazione parte dal presupposto (forse, non sempre aderente alla realtà…) che sia possibile per tutti ed in qualsiasi luogo reperire un lavoro, anche umilissimo, che garantisca un introito minimo. E, pertanto, in caso di disoccupazione, occorrerà verificare che tale situazione non derivi dalla condotta dell’obbligato che, per scelta, pigrizia o incapacità non si sia concretamente dato da fare per trovare un lavoro con cui fornire i mezzi di sussistenza ai propri figli.

Quale condotta è contemplata, invece, dall’art. 570 bis c.p.?

Viceversa, l’art. 570 bis, c.p. prevede un’ipotesi più specifica, sanzionando (con le stesse pene previste dall’art. 570, c.p.) la condotta del coniuge che si sottrae alla corresponsione di qualsiasi tipo di assegno dovuto in caso di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio, o non rispetta gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e affido condiviso dei figli.

Dunque, in questo caso non rileva la mancanza o meno dei mezzi di sussistenza, bensì solo l’aver omesso di corrispondere gli assegni stabiliti dal Giudice civile (es. della separazione o del divorzio), non essendo consentito al soggetto obbligato operarne una riduzione e non essendo necessario verificare se per tale via si sia prodotta o meno la mancanza di mezzi di sussistenza (così, Cass. sez. VI, n. 4677 del 19/01/2021).

In questa ipotesi, quindi, non rileva mai la difficoltà economica dell’obbligato?

No, anche in questo caso l’agente non dovrà rispondere del reato in parola – per assenza di dolo – nel caso in cui si trovi nell’impossibilità di adempiere agli obblighi di mantenimento stabiliti dal giudice civile, qualora la stessa sia assoluta, circostanza che non è automaticamente desumibile nemmeno dallo stato di disoccupazione del soggetto.

Di contro, tale “assolutezza” non richiede nemmeno prova dell’indigenza totale del soggetto obbligato, dovendo tenere in considerazione i beni giuridici in conflitto, assegnando certamente prevalenza alla tutela della prole e/o, comunque, del familiare c.d. “debole”, ma individuando un punto di equilibrio tenendo conto di tutte le peculiarità del caso specifico: importo delle prestazioni imposte, disponibilità reddituali dell’obbligato, necessità per lo stesso di provvedere a proprie esigenze di vita egualmente indispensabili (vitto, alloggio, spese inevitabili per la propria attività lavorativa), solerzia, da parte sua, nel reperimento di possibili fonti di reddito (eventualmente ulteriori, se necessario, rispetto a quelle di cui già disponga), contesto socio-economico di riferimento e quant’altro sia in condizione d’influire significativamente sulla effettiva possibilità di assolvere al proprio obbligo, se non a prezzo di non poter provvedere a quanto indispensabile per la propria sopravvivenza dignitosa (cfr., in tal senso, Cass Pen., sent. n. 32576/2022).

Non è possibile, però, autoridursi l’assegno!

Quello che è certo, è che non potrà mai essere invocato un diritto all’autoriduzione dell’assegno stabilito: l’obbligato deve sempre rivolgersi al giudice civile per ottenere un’eventuale revisione dell’assegno di mantenimento.

Rileva, quindi, qualsiasi tipo di inadempimento, anche minimo?

La giurisprudenza ha recentemente ribadito che la condotta incriminata dall’art. 570-bis c.p. non è integrata da qualsiasi forma di inadempimento civilistico, ma necessita di inadempimento serio e sufficientemente protratto, o destinato a protrarsi, per un tempo tale da incidere apprezzabilmente sull’entità dei mezzi economici che il soggetto obbligato deve fornire (così si è espressa Cass. Pen., sent. n. 47158/2022).

L’importanza di valutare preventivamente la sostenibilità degli accordi economici inerenti la separazione e il divorzio.

In conclusione, ci sia consentita una osservazione: spesso queste spiacevoli contestazioni penali sono la conseguenza inevitabile di separazioni fai-da-te o accordi consensuali poco meditati, ove sin da subito era evidente l’impossibilità (o comunque l’estrema difficoltà) dell’obbligato di far fonte agli impegni presi, ovvero il suo totale disinteresse per la prole.

Problemi spesso evitabili affidandosi ai consigli di un avvocato competente in materia di diritto di famiglia che possa, sin da subito, informare i genitori dei loro diritti e obblighi e suggerire la soluzione più equa possibile, nell’interesse preminente dei figli minori, che deve rappresentare sempre e comunque la stella polare per qualsiasi decisione che riguardi la famiglia.

Avv. Patrizio Paolo Palermo ©

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