“Quando vedi la paletta, accelera a manetta”: ma quali sono le conseguenze?

Mi è spesso capitato di sentire il detto – ironico e goliardico – “quando vedi la paletta, accelera a manetta”, ma a quali conseguenze legali si va incontro quanto non ci si ferma all’alt delle Forze dell’Ordine?

A molti sarà capitato, alla vista di una pattuglia, di avere la tentazione di non fermarsi all’alt, per le più disparate ragioni, tra cui spessissimo perché senza casco, oppure senza cinture, o con la patente scaduta, ecc…

Al di là delle considerazioni relative alla pericolosità intrinseca di tale condotta – sia per sé, che per gli altri utenti della strada – all’autore potrà essere contestato il reato di resistenza a pubblico ufficiale, previsto all’art. 337 del Codice Penale e punito con la pena della reclusione da 6 mesi a 5 anni, per il quale è possibile l’arresto in flagranza, qualora, in relazione alle circostanze dell’azione e la personalità del soggetto, il fatto venga considerato grave o la persona pericolosa.

In particolare, il reato di resistenza sanziona chiunque usi violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di pubblico servizio ovvero a chi, essendone stato richiesto, gli presti assistenza, mentre compie un (legittimo) atto del suo ufficio o servizio.

Vengono quindi in rilievo due tipi di condotte:

1) violenza come impiego di forza fisica contro i pubblici ufficiali (es. spingo il carabiniere per impedirgli di fermarmi);

2) minaccia intesa quale comportamento percepibile come intimidatorio da parte dei pubblici ufficiali e in grado di coartarne la volontà (es. dico al carabiniere “tu non sai chi sono io”, oppure “so dove abiti”).

In ogni caso, in entrambe le ipotesi, la condotta deve essere specificamente preordinata al fine contrastare il compimento di un atto legittimo da parte del pubblico ufficiale: si tratta, secondo l’interpretazione prevalente di un reato a dolo specifico.

In questo contesto normativo come si colloca la fuga?

In prima battuta, bisogna precisare che la fuga è considerata una condotta di resistenza passiva e, quindi, penalmente irrilevante. Ciò al pari della condotta del manifestante che si sieda per terra per non essere portato via dagli agenti, o che si aggrappi a qualche cosa o, più semplicemente, si rifiuti di obbedire.

Tuttavia, diverso è il caso in cui con la sua fuga l’agente ponga deliberatamente in pericolo i pubblici ufficiali o terzi al fine di impedire l’inseguimento e, quindi coartarne in maniera indiretta la volontà: in tal caso, la condotta non resta meramente passiva ma assume i connotati della violenza impropria.

Con particolare riferimento alla fuga attuata con un automezzo, la giurisprudenza ha chiarito che essa può integrare il reato di resistenza se la condotta di guida non è tenuta al solo fine di cercare di sottrarsi dall’inseguimento, bensì a porre deliberatamente in pericolo, con una condotta di guida obbiettivamente pericolosa, l’incolumità personale degli agenti inseguitori o degli altri utenti della strada per far sì che i pubblici ufficiali desistano dall’inseguimento (si veda, Cass. Pen., sent. n. 41408/2019, nonché, da ultimo, Cass. Pen. sent. n. 458/2022).

Pertanto, in diversi casi è stata ritenuta sufficiente ad integrare il reato una condotta di guida anche solo potenzialmente pericolosa, come ad esempio tenere un’alta velocità in centro abitato, attraversare un incrocio senza dare la precedenza, non arrestarsi con semaforo rosso, ecc…

Tuttavia si segnala che, secondo un’interpretazione preferibile, non sarebbe sufficiente la semplice violazione di principi di prudenza alla guida, o anche di specifiche norme del Codice della Strada, ma occorrerebbe un quid pluris che renda evidente come l’obbiettivo perseguito dall’agente sia l’indiretta coartazione dei Pubblici Ufficiali (così Cass. pen., n. 35448/2002, seguita, di recente, da diversi Giudici di merito). Accogliendo quest’ultima interpretazione, pertanto, sarebbe integrato il reato di resistenza solo qualora l’automobilista adotti una condotta di guida che renda evidente che l’intento perseguito non sia solo quello di allontanarsi, ma anche di creare un pericolo per la pubblica incolumità tale da scoraggiare un eventuale inseguimento.

Infine, si segnala che in diverse ipotesi il passeggero dell’autovettura è stato ritenuto corresponsabile del reato di resistenza qualora fosse consapevole e partecipe della condotta criminosa e con la sua presenza l’abbia rafforzata (cfr. Cass. Pen., sent. n. 1380/2022: nel caso di specie, diversi soggetti erano stati sorpresi a compiere un furto in abitazione e si erano dati alla fuga in auto, riuscendo a scappare, mente uno di loro era poi stato individuato ed arrestato).

Per queste ragioni l’invito è quello di fermarsi sempre ad un posto di blocco, piuttosto che cercare di allontanarsi, per non incorrere nelle pesanti sanzioni previste dal nostro ordinamento.

Avv. Patrizio Paolo Palermo ©

Condividi: