In un precedente articolo del blog ho avuto modo di riepilogare cosa si intende per convivenza di fatto, quali sono i diritti e i doveri dei conviventi e quali sono le differenze tra la convivenza di fatto e il matrimonio, precisando che la stipula del contratto di convivenza non è necessaria ai fini della registrazione della convivenza.
Che cos’è e a che cosa serve, dunque, il contratto di convivenza?
Il contratto di convivenza è un accordo facoltativo, che le parti possono stipulare per disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune.
Non è, dunque, obbligatorio stipulare un contratto di convivenza: i conviventi potrebbero “accontentarsi” di registrare la loro convivenza all’anagrafe del comune e di vedersi applicati i diritti-doveri previsti dalla legge.
Se i conviventi decidono di procedere alla stipula, il contratto deve essere redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o con scrittura privata autenticata dal Notaio o dall’Avvocato, che ne certifica la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico. La stessa forma deve essere osservata anche per le successive modifiche e per l’eventuale risoluzione del contratto.
Il Notaio o l’Avvocato che ha autenticato il contratto ha l‘obbligo di trasmetterlo entro 10 giorni al comune di residenza dei conviventi ai fini dell’iscrizione anagrafica.
Qual è il contenuto del contratto di convivenza?
Il contratto deve contenere l’indirizzo a cui le parti intendono ricevere le comunicazioni relative al contratto e può inoltre prevedere una serie di altre pattuizioni, quali ad esempio:
a) l’indicazione della residenza della famiglia di fatto;
b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo (ad esempio, quale contributo sia a carico di ciascuno per le spese familiari, la costituzione di un conto corrente comune per far fronte alle spese ordinarie, l’obbligo di mantenimento del convivente economicamente più debole, la ripartizione dei compiti di cura e accudimento dei figli e di gestione delle incombenze domestiche, ecc.);
c) la scelta da parte dei conviventi del regime patrimoniale della comunione dei beni;
d) le regole inerenti l’uso dell’abitazione adibita a residenza familiare;
e) la sorte dei beni acquistati durante la convivenza, anche in termini di riconoscimento del contributo dato da uno dei conviventi per l’acquisto di un bene intestato all’altro;
f) ciascun convivente di fatto può, inoltre, designare l’altro suo rappresentante con poteri pieni o limitati in caso di malattia che comporti incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute.
Il convivente può essere anche indicato come rappresentante per le decisioni da assumere, in caso di morte, in relazione alla donazione degli organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie.
g) Inoltre, ciascun convivente può nominare l’altro proprio amministratore di sostegno per il caso di incapacità futura, con le eventuali precisazioni circa le direttive che l’amministratore dovrà seguire nel caso sopravvenga la necessità della sua nomina da parte del giudice tutelare.
Si può sciogliere il contratto di convivenza?
Certamente, lo si può fare in determinati casi:
- le parti possono concordare di risolvere il contratto;
- oppure una delle parti può scegliere liberamente di recedere dal contratto;
- la risoluzione opera, invece, automaticamente quando i conviventi contraggono matrimonio o unione civile tra loro o con altra persona.
- Infine il contratto si scioglie quando muore uno dei conviventi.
Per la risoluzione del contratto concordata dalle parti o che avvenga per recesso unilaterale, occorre seguire la medesima forma prevista per la stipula del contratto di convivenza.
Il Notaio o l’Avvocato che autentica l’atto ha anche l’obbligo di trasmetterlo all’anagrafe ove era stata registrata la convivenza e, nel caso di recesso unilaterale, di notificare copia del recesso all’altro convivente.
Avv. Alberta Martini Barzolai ©