Una delle numerose novità introdotte dalla c.d. Riforma Cartabia (d.lgs. 149/2022) in materia di famiglia è costituita dalla possibilità di proporre contestualmente, con un unico atto, le domande di separazione e divorzio e le relative domande accessorie (es. affidamento e residenza prevalente dei figli, assegnazione della casa familiare, mantenimento del coniuge e dei figli, …).
Tale previsione è stata introdotta al fine di ridurre i tempi per giungere alla pronuncia del divorzio e contenere le attività difensive ed istruttorie da svolgere nel corso del processo, tenuto conto del fatto che numerose domande proposte nei procedimenti di separazione e divorzio sono sovrapponibili e richiedono lo svolgimento di accertamenti istruttori analoghi.
Cosa NON è cambiato con la c.d. Riforma Cartabia?
A differenza di quanto si sente affermare talvolta, va precisato che la recente riforma NON ha eliminato la separazione personale dei coniugi e NON ha inciso direttamente sui termini che la legge impone di attendere prima di poter richiedere la pronuncia del divorzio.
Infatti, tutt’oggi, il nostro ordinamento – a differenza di molte altre legistrazioni europee ed extraUE – prevede la necessità di ottenere la pronuncia della separazione personale dei coniugi, che deve essere protratta per un certo periodo di tempo prima di poter richiedere che sia dichiarato il divorzio. Le due procedure hanno infatti funzioni diverse: la separazione personale dei coniugi ha l’effetto di attenuare i doveri nascenti dal matrimonio, sicchè i coniugi rimangono marito e moglie (anche a tutti gli effetti successori) sino al divorzio, pur non essendo più vincolati dall’obbligo di fedeltà e coabitazione. Solo con la pronuncia del divorzio, invece, il matrimonio si scioglie e le parti riacquistano lo stato libero (ed è questo il motivo per cui il divorzio si chiama tecnicamente scioglimento o, nel caso di matrimonio concordatario, cessazione degli effetti civili del matrimonio).
La legge prevede (dall’intervento della L. 55/2015 sul c.d. divorzio breve e a tutt’oggi, anche dopo l’entrata in vigore della c.d. Riforma Cartabia) che la domanda di divorzio sia procedibile solo dopo che siano decorsi:
– 6 (sei) mesi dall’udienza di comparizione dei coniugi in caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale;
– oppure 6 (sei) mesi dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita, ovvero dalla data dell’atto contenente l’accordo concluso innanzi all’ufficiale di stato civile;
– oppure di 12 (dodici) mesi dalla “prima” udienza in caso di separazione giudiziale.
Inoltre, la domanda di divorzio è procedibile solo se la sentenza di separazione è passata in giudicato (non più impugnabile).
Poichè tali termini sono rimasti invariati, il nuovo art. 473bis.49 c.p.c. ha confermato che, anche se la richiesta di separazione e di divorzio viene avanzata nello stesso ricorso, la domanda di divorzio diventa procedibile solo una volta che sia decorso il termine previsto dalla legge dall’intervenuta separazione e previo passaggio in giudicato della relativa sentenza (in pratica e atecnicamente potremmo dire che la domanda di divorzio rimane in stand-by).
Ci si chiederà quindi come mai si sono ridotti i tempi e le attività da svolgere se la c.d. riforma Cartabia non ha ridotto questi termini, nè ha eliminato la separazione: per comprenderlo occorre risalire alla disciplina vigente per i processi instaurati prima del 28 febbraio 2023.
Cosa accadeva prima della c.d. Riforma Cartabia?
Prima dell’entrata in vigore del D.lgs. 149/2022, avvenuta il 28/02/2023 (e per tutti i processi instaurati anteriormente a tale data) erano previste due distinte procedure, lievemente diverse, per la separazione e per il divorzio.
Per entrambe si prevedeva una doppia fase: nella prima (c.d. presidenziale) veniva fissata una prima udienza davanti al Presidente del Tribunale, il quale, letti i primi due atti introduttivi e sentite le parti, tentava la conciliazione dei coniugi ed emanava i c.d. provvedimenti provvisori destinati a regolamentare le questioni “urgenti” (es. mantenimento e affidamento dei figli, assegnazione della casa familiare, ecc.) in attesa dello svolgimento del processo. Successivamente a tale udienza si apriva la c.d. fase di merito: il Presidente rimetteva le parti al Giudice istruttore che aveva il compito di istruire la causa ed emettere la sentenza conclusiva del processo. In allora, solo alla prima udienza avanti al Giudice istruttore (quindi, come minimo, a distanza di 5-6 mesi dal deposito del ricorso introduttivo), si poteva chiedere che fosse pronunciata la sentenza parziale (o non definitiva) sulla sola domanda di separazione. Ciò significa, in pratica, che il Tribunale in composizione collegiale emetteva la sentenza solo sulla separazione e rimetteva poi la causa davanti al Giudice istruttore affinchè fossero istruite le domande accessorie relative, ad esempio, all’addebito, all’assegno di mantenimento del coniuge e dei figli, ecc. e si giungesse alla decisione su tutte le questioni sottoposte al Tribunale. Dopo la pronuncia di tale sentenza occorreva, decorsi i termini di legge, richiederne l’attestazione del passaggio in giudicato e attendere i 6 mesi dall’udienza presidenziale in caso di separazione consensuale o consensualizzata o i 12 mesi in caso di separazione giudiziale per depositare un nuovo ricorso contenente la domanda di divorzio e tutte le domande accessorie.
Un’ulteriore complicazione era data dal fatto che, assai spesso, nel momento in cui era proposta la domanda di divorzio, il procedimento di separazione era ancora pendente, con l’effetto pratico che ci si trovava ad avere in corso in parallelo le due procedure, magari anche avanti a Giudici diversi, i quali dovevano pronunciarsi su questioni in parte sovrapponibili: è ovvio, infatti, che oltre alla domanda di divorzio occorreva avanzare nuovamente tutte le richieste relative all’affidamento e alla residenza dei figli, al regime di visita del genitore non collocatario, all’assegnazione della casa familiare e al mantenimento dei figli. Di conseguenza, sebbene in giurisprudenza si fosse chiarito in maniera sufficientemente precisa a quale giudice spettasse la decisione sulle stesse e da quale momento in poi, tali domande venivano istruite due volte e vi era il rischio che le decisioni fossero contrastanti.
Ora non è più così.
È stato previsto un rito unico per tutte le controversie di separazione personale dei coniugi, scioglimento del matrimonio, regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale (per i figli nati da genitori non sposati) e le relative domande di modifica.
Non è più prevista la doppia fase c.d. presidenziale e di merito, per cui – dopo lo scambio di 5 atti (3 per l’attore, 2 per il convenuto) – è prevista la comparizione personale delle parti davanti al Giudice incaricato di trattare la procedura ad un’apposita udienza che deve essere fissata entro 90 giorni dal deposito del ricorso.
Già a questa udienza, quindi dopo circa 3 mesi dal deposito del ricorso, può essere richiesta la pronuncia della sentenza parziale di separazione. Successivamente – salvo le precisazioni che seguono – decorsi 6 mesi da questa udienza in caso di separazione consensuale o consensualizzata o 12 mesi in caso di separazione giudiziale (e previo passaggio in giudicato della sentenza), il Giudice istruttore tratterà anche la domanda di divorzio, a condizione ovviamente che sia stata proposta con il ricorso introduttivo unitamente alla domanda di separazione e con la disamina di tutte le questioni attinenti al divorzio.
La scelta di proporre insieme la domanda di separazione e divorzio, quindi, comporta un notevole risparmio di tempi ed energie ed assicura la trattazione di tutte le domande da parte del medesimo Giudice istruttore.
Non sempre, però, è una buona idea procedere al cumulo delle domande: occorre valutare attentamente con un Avvocato esperto in materia di diritto di famiglia quali siano le ricadute pratiche della scelta nella Tua situazione specifica.
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È dubbio se il cumulo della separazione e del divorzio siano ammissibili in caso di separazione consensuale.
Al momento in cui scrivo devo dare conto del fatto che, siccome il d.lgs. 149/2022 ha previsto espressamente la possibilità di proporre cumulativamente la domanda di separazione e divorzio nel solo procedimento contenzioso, si sono formati due orientamenti giurisprudenziali contrastanti in merito alla possibilità di usufruire di tale soluzione anche nelle procedure consensuali.
Numerosi Tribunali ritengono che il cumulo sia ammissibile anche nelle procedure in cui si sia raggiunto un accordo e, pertanto, si pronunciano sia sulla domanda di separazione che su quella di divorzio avanzate congiuntamente dalle parti, emettendo dapprima la sentenza di separazione e disponendo – in pratica – un rinvio della causa di almeno 6 mesi dall’udienza di comparizione delle parti, così da consentire il decorso dei termini di legge e il passaggio in giudicato della sentenza. In seguito alla successiva udienza il Tribunale si pronuncia sulla domanda di divorzio congiunto e sulle relative condizioni.
Alcuni Tribunali, viceversa, escludono che si possa procedere al cumulo nel procedimento consensuale e, per l’effetto, anche se le parti sono d’accordo, è necessario instaurare due distinte procedure; laddove infatti si depositi contestualmente la domanda di separazione e quella di divorzio, la seconda viene dichiarata inammissibile.
Alla luce del contrasto giurisprudenziale in atto e della rilevanza della questione per la tutela dei cittadini, è stato richiesto alla Corte di Cassazione di esprimersi in merito in sede di rinvio pregiudiziale. Allo stato la questione pregiudiziale è stata sottoposta alla prima sezione civile della Corte di Cassazione e si è in attesa di un’interpretazione univoca.
In attesa dell’interpretazione della Corte di cassazione si sono espressi in senso favorevole al cumulo delle domande, anche se proposte congiuntamente dai coniugi, il Tribunale di Udine e di Genova (in sede di protocolli condivisi), il Tribunale di Verona, di Terni, di Milano, di Vercelli, di Lamezia Terme, di Savona, di Treviso, di Modena. In senso contrario al cumulo invece si sono espressi il Tribunale di Ferrara, di Firenze, di Bari e di Padova.
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Avv. Alberta Martini Barzolai ©