Devo partecipare ad un bando e mi viene chiesto di indicare se ho precedenti penali, cosa devo scrivere?

Spesso in caso di partecipazione a bandi o concorsi, viene chiesto al privato di compilare una dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi dell’art. 46, D.P.R. 445/2000 in cui attesta di non aver riportato condanne penali.

Il cittadino è tenuto a dichiarare tutto o vi sono dei provvedimenti che possono essere omessi senza provocare conseguenze?

Cerchiamo di fare chiarezza: in sede di autocertificazione il privato non è tenuto ad indicare tutte le condanne riportate.

Infatti l’art. 28, comma 8, del D.P.R. 313/2002 nella sua ultima formulazione prevede un lungo elenco di ipotesi di provvedimenti – anche non solo penali – che possono essere omessi.

Esse sono:

  • le condanne per contravvenzioni punibili con la sola pena della ammenda;

  • le condanne per le quali è stata concessa la sospensione condizionale della pena e il reato è stato successivamente estinto, a norma dell’articolo 167, primo comma, del codice penale;

  • i provvedimenti che dispongono la sospensione del procedimento per messa alla prova ex art. 464 quater, c.p.p. e le sentenze che dichiarano estinto il reato per esito positivo della messa alla prova ex art. 464 septies, c.p.p.;

  • i provvedimenti giudiziari che hanno dichiarato la non punibilità per particolare tenuità dei fatti, ai sensi dell’articolo 131-bis del codice penale;

  • le condanne delle quali è stata concessa la non menzione ex art. 175, c.p., purché il beneficio non sia stato revocato;

  • le condanne per il reato di bigamia, nel caso in cui il matrimonio precedente sia dichiarato nullo o il secondo matrimonio annullato per causa diversa dalla bigamia;

  • le condanne in relazione alle quali è stata definitivamente applicata l’amnistia e a quelle per le quali è stata dichiarata la riabilitazione, senza che questa sia stata in seguito revocata;

  • le condanna a pena patteggiata, a condizione che la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva, soli o congiunti a pena pecuniaria;

  • i decreti penali di condanna;

  • le condanne per fatti che la legge ha cessato di considerare come reati, quando la relativa iscrizione non è stata eliminata;

  • i provvedimenti riguardanti misure di sicurezza conseguenti a sentenze di proscioglimento o di non luogo a procedere, quando le misure sono state revocate;

  • i provvedimenti che riguardano l’applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale semplice o con divieto o obbligo di soggiorno;

  • i provvedimenti giudiziari emessi dal giudice di pace;

  • i provvedimenti giudiziari relativi ai reati di competenza del giudice di pace emessi da un giudice diverso, limitatamente alle iscrizioni concernenti questi reati;

  • i provvedimenti di interdizione, di inabilitazione e relativi all’amministrazione di sostegno, quando esse sono state revocate.

Da ultimo, questo catalogo è stato ampliato dalla Corte Costituzionale, che con sentenza n. 179/2020, ha inserito, tra l’elenco dei provvedimenti che possono essere omessi, anche le sentenze di condanna per il reato di guida in stato di ebbrezza, nel caso in cui sia stato dichiarato estinto in seguito al positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità.

In tutti questi casi, il privato non commette alcun illecito se non indica nell’autocertificazione il precedente.

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E se ho omesso di indicare un precedente che avrei dovuto indicare?

In tal caso, l’art. 76, D.P.R. 445/2000 prevede che chi rilascia autodichiarazioni mendaci è punito ai sensi del Codice Penale e la pena è aumentata da un terzo alla metà.

Infatti, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 76, DPR 445/2000, le autocertificazioni si considerano come rese ad un Pubblico Ufficiale.

Inoltre, un’autocertificazione è per sua natura destinata a provare la verità dei fatti affermati e, pertanto, ha un’indubbia natura di atto pubblico.

In altre parole, da un lato l’autocertificazione si considera come resa ad un Pubblico Ufficiale, mentre dall’altro l’atto in cui le dichiarazioni confluiscono è sempre destinato a provare la verità dei fatti attestati.

Pertanto, qualora quanto dichiarato non corrisponda al vero, l’agente potrà rispondere del reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483, c.p.), che prevede la pena della reclusione fino al massimo di due anni, pena che può essere aumentata in ragione dell’aggravante di cui sopra.

Avv. Patrizio Paolo Palermo ©

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