A quali conseguenze posso andare incontro se non ho indicato dei precedenti penali in fase di partecipazione a un concorso?

Mi è capitato di affrontare anche di recente un caso piuttosto frequente nel quale, nella domanda di inserimento in graduatoria per il personale scolastico (in particolare personale A.T.A. > amministrativi, tecnici e ausiliari), l’assistito aveva presentato un’autocertificazione omettendo di indicare dei suoi precedenti penali.

A fronte di una contestazione circa l’omessa dichiarazione, il mio cliente mi ha chiesto preoccupato a quali conseguenze sarebbe andato incontro e ho pensato che la mia risposta potrebbe essere utile anche a Te che stai leggendo. Cerchiamo, dunque, di fare chiarezza.

In un recente articolo ho già avuto modo di riepilogare quali dichiarazioni debbano essere rese nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, prevista dall’art. 46, D.P.R. 445/2000.

Anzitutto occorre verificare se i precedenti penali omessi avrebbero dovuto essere comunicati o meno: infatti, l’art. 28, comma 8, del D.P.R. 313/2002 prevede un lungo catalogo di ipotesi, che Ti invito a leggere qui, che possono essere legittimamente omesse dal privato in sede di autocertificazione. Questo in quanto il cittadino non può essere costretto a dichiarare condanne che non sono riportate nel certificato del Casellario Giudiziale rilasciato a richiesta di privati.

Dunque, nel caso in cui i precedenti penali rientrino nelle ipotesi contemplate dall’art. 28, comma 8, D.P.R. 313/2002, nessuna conseguenza penale potrà derivare dalla loro omessa indicazione.

Viceversa, qualora si sia al di fuori di tali ipotesi, il privato potrebbe essere chiamato a rispondere del reato di cui all’art. 483, c.p., (“Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico”).

Infatti, le autocertificazioni si considerano come rese ad un Pubblico Ufficiale e sono per loro natura destinate a provare la verità dei fatti affermati: da ciò deriva la loro indubbia natura di atto pubblico.

Tale reato prevede la pena della reclusione da quindici giorni a due anni, che può essere aumentata da un terzo alla metà ai sensi dell’art. 76, D.P.R. 445/2000.

Tuttavia nel caso di specie, il rischio maggiore è quello di vedesi contestato il reato di falso ideologico del Pubblico Ufficiale per induzione (art. 48 e 479, c.p.), che prevede la pena della reclusione da 1 a 6 anni.

Questo in quanto potrebbe venire contestato al privato che lo stesso, fornendo dati falsi in sede di autocertificazione, avrebbe indotto in errore un Pubblico Ufficiale (nel caso in parola il Dirigente Scolastico) il quale, sulla base di quei dati, avrebbe attestato falsamente nella graduatoria d’istituto – che è un atto pubblico – il possesso da parte del candidato dei requisiti per concorrere all’assegnazione dell’impiego.

Infatti, la Corte di Cassazione ha chiarito che la condotta del privato che rilascia una falsa autocertificazione che poi confluisca in un atto pubblico integra entrambi i reati nel caso in cui la dichiarazione non veritiera del privato concerna fatti dei quali l’atto del Pubblico Ufficiale è destinato a provare la verità (cfr. Cass. SS.UU. Sent. 35488/2007).

Tuttavia tale soluzione, calata nel caso specifico, non pare così scontata: infatti, si potrebbe sostenere che la graduatoria d’istituto non sia destinata a provare la verità delle informazioni rilasciate dal privato, ma semplicemente attribuire un punteggio, prendendo atto di quanto dichiarato dai candidati.

In conclusione, alla luce delle pesanti conseguenze penali, è sempre opportuno prestare la massima attenzione al momento della predisposizione di qualsiasi domanda in inserimento in graduatoria e rivolgersi tempestivamente all’avvocato penalista in caso di dubbi in sede di autocertificazione e, a maggior ragione, in caso di contestazione successiva.

Avv. Patrizio Paolo Palermo ©

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