Violenza sessuale e consenso della persona offesa: la Cassazione chiarisce i confini

In una recente sentenza (n. 32248 del 08 agosto 2024), la Corte di Cassazione ha affrontato un caso di violenza sessuale che solleva questioni fondamentali riguardanti il consenso nei rapporti intimi.

L’imputato è stato condannato per violenza sessuale nonostante avesse cercato di difendersi sostenendo di non essere consapevole del dissenso della vittima.

Il contesto del caso

Il caso in questione coinvolge un uomo accusato di aver commesso atti sessuali non consensuali nei confronti di una donna. L’imputato ha cercato di giustificare le sue azioni, affermando che credeva sinceramente che la vittima fosse consenziente. A suo dire, i messaggi affettuosi scambiati con la donna e le circostanze precedenti all’episodio incriminato avrebbero potuto far intendere un consenso implicito.

La decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha respinto la tesi difensiva dell’imputato, ribadendo che il consenso nei rapporti sessuali deve essere chiaro, esplicito e inequivocabile.

In particolare è stato sottolineato che il dissenso della vittima, anche se espresso in modo implicito, è sufficiente per configurare il reato di violenza sessuale.

In caso di errore sul dissenso, sull’imputato grava l’onere di provare – o quantomeno l’onere di allegare in maniera specifica e puntuale – che un determinato fatto, da lui percepito come manifestazione di consenso, abbia fatto sorgere in lui, nonostante l’uso della normale diligenza, la ragionevole certezza dell’esistenza del consenso della persona offesa al compimento di atti sessuali.

In presenza di qualsiasi dubbio in merito la persona interessata deve astenersi dal compiere atti sessuali.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che le prove raccolte nel corso del giudizio di merito – tra cui le coerenti e precise dichiarazioni della vittima, i messaggi di testo scambiati con l’imputato e la testimonianza di un amico della persona offesa – dimostrassero non solo che non vi era alcun consenso da parte della donna, ma che anzi questa aveva palesato diverse manifestazioni di dissenso dal tenore inequivoco al compimento di atti sessuali.

Sulla base di questi elementi la Corte giunge a confermare la sentenza di condanna a carico dell’imputato.

Riflessioni sulla decisione della Corte

Questa sentenza della Cassazione, in linea con la giurisprudenza dominante, sottolinea l’importanza di disporre di un consenso esplicito in ogni interazione sessuale.

Il consenso non può essere presunto o dedotto da comportamenti ambigui o circostanze precedenti; deve essere chiaro e inequivocabile e deve essere pieno e permanente, ossia permanere durante tutto il compimento dell’atto sessuale.

Viceversa, in assenza di una manifestazione positiva del consenso, l’unica scelta sicura è quella di astenersi dal compiere atti sessuali.

Infine, la sentenza ribadisce il valore della deposizione della persona offesa nei processi penali, le cui dichiarazioni possono essere da sole sufficienti a fondare una decisione di condanna, garantendo un’efficace tutela anche in casi complessi come quelli di violenza sessuale.

A margine di questa decisione, occorre segnalare che il legislatore, in un’ottica di massimizzazione della tutela delle vittime di alcuni reati – tra cui quello di violenza sessuale, oltre a maltrattamenti in famiglia e stalking – ha previsto che la persona offesa può essere ammessa al patrocinio a spese dello Stato anche a prescindere dal suo reddito (art. 76, comma 4 ter, D.P.R. 115/2002).

Ciò al fine di favorire la possibilità per la vittima di reati particolarmente gravi ed odiosi di partecipare al processo e far sentire così la propria voce.

I principi enunciati in questa sentenza sollevano questioni complesse e delicate che devono essere sempre calate nel caso specifico: se pensi di trovarTi in una situazione simile, non esitare a contattarmi.

Sono qui per ascoltarTi e offrirTi una consulenza dedicata e personalizzata.

Avv. Patrizio Paolo Palermo ©

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