Con la sentenza n. 22497/2021 (pubblicata il 9 agosto 2021) la Cassazione civile è ritornata sul delicatissimo tema del parto anonimo.
Ripercorrendo il quadro normativo e giurisprudenziale inerente il diritto all’anonimato e il bilanciamento tra tale diritto e quello del figlio a risalire alle proprie radici, la Suprema Corte ha ricordato come, solo dopo la ratifica di due importanti Convenzioni internazionali, il legislatore italiano ha modificato l’art. 28 della Legge n. 184/1983 consentendo all’adottato, in presenza di determinate condizioni, di accedere alle informazioni sulla sua origine e sull’identità dei suoi genitori biologici (trattasi, in particolare, della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20.11.1989 e della Convenzione dell’Aja sulla protezione dei minori e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale del 29.05.1993).
Mentre per l’adottato è sufficiente aver compiuto 25 anni (oppure 18 se sussistono gravi e comprovati motivi attinenti la sua salute psico-fisica) per dar corso alla richiesta, per il figlio nato da parto anonimo il percorso per veder riconosciuto analogo diritto di accesso è stato assai più travagliato.
Diverse altre disposizioni, infatti, ribadivano che il certificato di assistenza al parto e la cartella clinica del nato da parto anonimo, ove comprensivi di dati personali tali da rendere identificabile la madre, erano accessibili solo decorsi 100 anni dalla loro formazione, oppure prima di tale termine solo adottando le cautele necessarie a preservare l’anonimato materno.
La rigidità di tale limite temporale è stata, tuttavia, messa in discussione a più riprese sia in seno alla Corte Europea dei diritti dell’uomo che alla Corte Costituzionale.
La Corte Europea dei diritti dell’uomo ha considerato contrastante con l’art. 8 della CEDU la legislazione italiana, nella misura in cui accordava una preferenza incondizionata al diritto della madre a rimanere anonima anche molti anni dopo il parto, creando così un vulnus irremovibile al diritto del figlio a risalire alle proprie origini biologiche (così sent. 25.09.2012 Godelli c. Italia).
A tale pronuncia ha fatto eco la Corte Costituzionale con sentenza n. 278/2013 che ha dichiarato incostituzionale l’art. 28, comma 7, L. 184/1983 nella parte in cui non prevede la possibilità per il Giudice di interpellare la madre, nell’ambito della procedura per la richiesta di accesso azionata dal figlio, al fine di verificare la sua perdurante volontà di rimanere anonima.
Nonostante sino ad oggi il legislatore italiano abbia omesso di adottare una specifica procedura per l’interpello della madre, così come sollecitato dalla Corte costituzionale, la giurisprudenza successiva di merito e di legittimità ha ritenuto comunque possibile procedere all’interpello della madre attraverso la procedura prevista in materia di adozione, esperibile una sola volta, con modalità tali da assicurare in maniera rigorosa la riservatezza della genitrice.
Ove, tuttavia, all’esito di tale interrogazione riservata, la madre confermi di voler rimanere anonima, il ricorso non potrà che essere rigettato.
Con la sentenza n. 22497/2021 però la Cassazione ha ricordato come la richiesta di accesso alle informazioni attinenti alle proprie origini può essere motivata non solo da una logica di carattere identitario, ma anche dalla necessità per il figlio di venire a conoscenza di eventuali patologie ereditarie trasmissibili al fine di tutelare la salute e la vita sua o dei suoi discendenti.
Con riguardo a tale domanda di accesso alle informazioni sanitarie della genitrice, riguardanti le anamnesi fisiologiche o patologiche, la Cassazione ha affermato che trattasi di domanda distinta da quella di “puro accesso alle origini” e che merita di essere accolta, anche in mancanza di revoca della scelta materna di rimanere anonima, purchè siano adottate tutte le più opportune cautele per far sì che la genitrice non sia identificabile.
Per approfondire il tema del parto anonimo si vedano anche:
Parto anonimo: diritti della madre e del bambino;
Parto anonimo e limiti all’accertamento giudiziale della maternità.
Avv. Alberta Martini Barzolai ©