Panino da casa in alternativa alla mensa scolastica: è davvero un diritto?

Soprattutto in tempo di emergenza sanitaria, in cui molti istituti hanno dovuto riorganizzare le modalità di erogazione del servizio mensa ed è alto il timore (non sempre fondato) di possibili contaminazioni, tante famiglie si stanno chiedendo se sia possibile far sì che i propri figli consumino il pasto portato da casa nei locali della scuola.

Una recente sentenza del Consiglio di Stato (Sez. VI, 2 dicembre 2020 n. 7640) ha contribuito a dare risposta a tale interrogativo pronunciandosi in un giudizio di annullamento di alcune delibere di un Consiglio di istituto che impediva l’autorefezione per quanto concerne i bambini della scuola primaria e, in ogni caso, vietava agli allievi che portavano il pasto da casa di consumarlo unitamente ai compagni iscritti al servizio mensa, sotto la vigilanza e l’assistenza educativa dei medesimi docenti ( si trattava, in particolare, di una scuola con tempo prolungato e 4 rientri pomeridiani obbligatori).

Dopo aver ripercorso la normativa relativa al servizio di mensa scolastica, il Consiglio di Stato ha precisato, anzitutto, che la situazione giuridica soggettiva azionata non può qualificarsi in termini di diritto soggettivo, bensì di interesse legittimo.

Da ciò ne consegue che non sussiste in capo ai genitori un diritto pieno e incondizionato, suscettibile di immediata tutela, a che i figli possano consumare il pasto portato da casa alle medesime condizioni e unitamente ai bambini che usufruiscono del servizio mensa. Ciò in quanto le scelte circa le modalità di gestione del servizio mensa sono rimesse all’autonomia organizzativa delle istituzioni scolastiche, le quali, in ragione della propria situazione concreta, possono regolamentare l’eventuale possibilità per gli alunni di consumare cibi di preparazione domestica, dettando al contempo le regole igieniche e le necessarie cautele relative alla modalità di fruizione del pasto, sanificazione dei locali, sorveglianza, ecc.

Non v’è chi non veda, infatti, come, in base alla situazione specifica della scuola, all’età degli allievi, ai tempi di permanenza nei locali scolastici, alle aule disponibili e alla tipologia di mensa erogata, il dirigente dovrà regolamentare quali cibi possano essere consumati a scuola (es. non facilmente deperibili, che non necessitano di refigerazione, che possano essere mantenuti a temperatura, ecc.), in quali contenitori debbono essere trasportati e con quali posate possono essere consumati al fine di evitare danni all’alunno stesso o ai compagni. Una specifica regolamentazione deve essere adottata in relazione ai locali in cui devono essere conservati e consumati i cibi, alla pulizia e sanificazione degli stessi e alla sorveglianza dei ragazzi nel “tempo mensa”.

Ancora, occorre chiarire come devono essere contrassegnati i contenitori e quali segnalazioni e cautele sono indispensabili a far sì che, specie per i minori intolleranti o allergici, possa essere eliminato il rischio di scambio di cibi o di contaminazioni.

Evidente che tali rischi non possono essere trascurati, anche per ragioni di responsabilità della scuola.

Oltre a tali delicati aspetti da considerare, nel dare risposta alle famiglie, inoltre, non si può dimenticare che la recente pronuncia del Consiglio di Stato si inserisce in un filone giurisprudenziale ben più articolato che, già in precedenza, aveva avuto modo di esprimersi sul tema.

Tra le più importanti sentenze, occorre ricordare, in particolare, la n. 20504/2019 resa dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite, la quale, è stata chiamata ad esprimersi su una questione di massima di particolare importanza, ossia, in termini meno tecnici, a rispondere con chiarezza e in maniera univoca al seguente quesito:

esiste un diritto soggettivo perfetto dei genitori degli alunni delle scuole primarie e “medie” di scegliere se aderire alla refezione scolastica, oppure far consumare nei locali della scuola ai propri figli il pasto portato da casa?

Ebbene, le Sezioni Unite della Suprema Corte sono partite dal presupposto per cui, in base al quadro normativo di riferimento, il “tempo mensa” rientra a tutti gli effetti nel “tempo scuola”, dunque, esso condivide le finalità educative proprie del progetto formativo della scuola e le finalità di socializzazione collegate alla consumazione del pasto insieme e, verrebbe da aggiungere, senza differenze.

Attraverso un articolato ragionamento fondato su tale presupposto di fondo, le Sezioni Unite escludono la sussistenza di un diritto soggettivo incondizionato all’autorefezione individuale, nell’orario di mensa e nei locali scolastici, in favore degli alunni delle scuole primarie e secondarie di primo grado.

Ne consegue che se vi fosse un diritto soggettivo dei genitori, si potrebbe ipotizzare un obbligo del dirigente di attivarsi per garantire l’esercizio del diritto stesso e, in ipotesi di inadempimento, la condanna ad attivarsi per adottare tutte le misure necessarie a disciplinare la fruizione del pasto di preparazione domestica nei locali adibiti a refettorio, unitamente agli alunni che fruiscono del servizio mensa pubblico.

Al contrario, laddove la pretesa dei genitori si configuri quale interesse legittimo, ai genitori è data la possibilità di influire sulle scelte riguardanti le modalità di gestione del servizio mensa – come già detto, rimesse all’autonomia organizzativa della scuola – partecipando ai relativi procedimenti amministrativi e vigilando sul legittimo esercizio del potere da parte dell’istituzione scolastica.

Nonostante alcune pronunce di primo e secondo grado avessero ritenuto di poter qualificare la posizione dei genitori degli alunni come di diritto soggettivo, infine, la stessa Sezione VI del Consiglio di Stato si era già espressa nel solco della citata Cass. SS. UU. n. 20504/2019, con due sentenze, anch’esse recenti, (trattasi delle nn. 5792 e 5839 del 5 ottobre 2020) in cui ha ribadito la natura di interesse legittimo della pretesa di consumare il pasto portato da casa negli stessi locali adibiti a refettorio, sotto la sorveglianza dei medesimi docenti e usufruendo delle stesse operazioni di sanificazione e pulizia dei locali senza ulteriori oneri per le famiglie.

Alla luce di ciò ha concluso affermando che “la richiesta di consumare individualmente il proprio pasto in linea di principio deve ammettersi ed essere accolta, secondo modalità che favoriscano la socializzazione degli alunni e ne azzerino i rischi in materia di salute e sicurezza, ed in ogni caso sotto la vigilanza del corpo docente”.

Dunque, rispondendo alla domanda da cui siamo partiti, non sussiste il diritto incondizionato di pretendere di poter consumare il pasto preparato a casa nei locali scolastici, bensì un mero interesse, la cui attuazione dipende da una scelta discrezionale dell’istituto scolastico, sia circa la possibilità, che le modalità del suo esercizio.

Avv. Alberta Martini Barzolai ©

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