Il c.d. Decreto fiscale ha introdotto un’importante opportunità per il debitore che abbia in corso una procedura di pignoramento della prima casa da parte di un istituto di credito: infatti, al fine di fronteggiare i casi più gravi di crisi economica dei consumatori, viene concessa la possibilità di sospendere l’esecuzione immobiliare in corso e, al ricorrere di determinate condizioni, “salvare” il bene oggetto della procedura (motivo per cui il rimedio è stato denominato “fondo salva-casa”).
L’art. 41 bis del Decreto Legge n. 124 del 26 ottobre 2019 ha infatti previsto la possibilità di chiedere la rinegoziazione del mutuo in essere, oppure un finanziamento a una banca diversa, con surroga nella garanzia ipotecaria esistente, destinato ad estinguere il mutuo in essere, con assistenza della garanzia del Fondo di garanzia per la prima casa e con il beneficio dell’esdebitazione del debito residuo.
Quando si può far ricorso alla procedura?
Affinchè si possa accedere al c.d. Fondo Salva Casa è necessario che ricorrano le seguenti condizioni:
1) colui che chiede la rinegoziazione del mutuo o il finanziamento deve essere un CONSUMATORE, cioè agire per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale, commericiale, professionale o artigianale. Il consumatore, inoltre, non deve avere in corso una procedura di risoluzione della crisi da sovraindebitamento di cui alla L. 3/2012.
2) Il creditore che ha avviato la procedura di esecuzione immobiliare deve essere un soggetto che esercita l’attività BANCARIA o una società veicolo di cui alla L. 130/1999;
3) il debito del consumatore deve essere sorto da un MUTUO IPOTECARIO (di I grado) concesso per l’acquisto della PRIMA CASA e, alla data di presentazione dell’istanza di rinegoziazione, deve essere stato RIMBORSATO ALMENO IL 10 % DEL CAPITALE ORIGINARIAMENTE FINANZIATO;
4) deve essere PENDENTE un’ESECUZIONE IMMOBILIARE sul bene oggetto di ipoteca, il cui PIGNORAMENTO sia stato NOTIFICATO nel periodo compreso tra il 01 gennaio 2010 e il 30 giugno 2019. Il creditore che ha avviato la procedura deve essere il soggetto che ha concesso il mutuo e NON DEVONO ESSERE INTERVENUTI ALTRI CREDITORI. Tuttavia, è comunque possibile presentare l’istanza laddove i creditori intervenuti depositino una rinuncia agli atti esecutivi, prima della presentazione della richiesta di rinegoziazione.
5) L’istanza di rinegoziazione può essere presentata UNA SOLA VOLTA nel medesimo processo esecutivo e va avanzata ENTRO IL 31 DICEMBRE 2021.
6) Il debito complessivo per cui si chiede la rinegoziazione o il finanziamento DEVE ESSERE INFERIORE A 250.000 € (calcolato ex art. 2855 c.c.).
7) L’importo offerto non deve essere inferiore al 75% del prezzo base della successiva asta, ovvero al valore del bene come determinato in sede di “perizia” nel caso in cui non sia stata ancora fissata l’asta. Però, se il debito complessivo è inferiore a tale valore, l’importo offerto non può essere inferiore al debito come indicato nel punto 6 qui sopra.
8) Il rimborso dell’importo finanziato o rinegoziato deve avvenire con una DILAZIONE NON SUPERIORE A 30 ANNI DALLA DATA DELL’ACCORDO DI RINEGOZIAZIONE e, in ogni caso, non superiore a una durata in anni che, sommata all’età del debitore, superi il numero di 80.
Come si richiede la rinegoziazione?
Il debitore e il creditore procedente devono presentare un’istanza congiunta al Giudice e, se ricorrono le condizioni ricordate poc’anzi, il processo esecutivo viene SOSPESO PER UN PERIODO MASSIMO DI 6 MESI, lasso di tempo nel quale le parti andranno a definire un possibile accordo di rinegoziazione o, in alternativa, si procederà al nuovo finanziamento, al fine di “chiudere” la procedura in corso.
La vera novità: l’intervento di parenti o affini.
Posto che la procedura sopra delineata ricalca, nella sostanza, gli accordi di rinegoziazione e gli accordi c.d. “a saldo e stralcio”, già noti alla prassi, pare che la vera novità della norma sia da rinvenire nella possibilità di accordare la rinegoziazione o il finanziamento del mutuo a un PARENTE O AFFINE FINO AL TERZO GRADO, qualora il debitore non abbia il merito creditizio tale da poter ottenere personalmente tali “benefici”.
Ove il parente o l’affine ottengano la rinegoziazione o il finanziamento, il Giudice dell’esecuzione emetterà il decreto di trasferimento dell’immobile in loro favore, ma per i successivi CINQUE ANNI sarà riconosciuto al debitore e alla sua famiglia il DIRITTO DI ABITAZIONE DELL’IMMOBILE, a condizione che vi mantengano la residenza.
Nel medesimo termine di 5 anni dal trasferimento al parente o affine, al debitore è accordata la possibilità di riottenere la proprietà dell’immobile, previo rimborso degli importi già corrisposti dal parente/affine e con accollo del mutuo residuo.
Avv. Alberta Martini Barzolai ©