Quando viene meno l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne e fino a che punto il genitore deve farsi carico del figlio ambizioso o fannullone?
La nostra legislazione, anche di rango costituzionale, prevede espressamente l’obbligo dei genitori di contribuire al mantenimento dei figli, a prescindere dal fatto che essi siano nati da una relazione coniugale o da una convivenza more uxorio. Tale obbligo permane, come noto, anche qualora intervenga una crisi familiare e i coniugi decidano di separarsi e, in seguito, di divorziare.
Accade infatti spesso che in sede di separazione il genitore non collocatario si impegni (o venga obbligato) al versamento di un assegno in favore del genitore che convive con i figli, quale contributo al mantenimento degli stessi, con la possibilità per entrambi i genitori di chiedere l’adeguamento di tale provvedimento economico qualora si verifichino situazioni che richiedono un aumento o una diminuzione, oppure una revoca dello stesso.
Per la cessazione dell’obbligo di mantenimento, dunque, non ha rilevanza il solo raggiungimento della maggiore età da parte del figlio: l’ art. 337 septies c.c. conferma, infatti, espressamente che i genitori possono essere obbligati anche al mantenimento dei figli maggiorenni, a condizione che essi non siano economicamente indipendenti. Nel caso in cui il figlio maggiorenne non sia ancora economicamente indipendente il Giudice quindi, valutate le circostanze, può disporre in suo favore un assegno di mantenimento che, di regola, deve essere versato direttamente all’avente diritto.
Il presupposto per il venir meno di tale obbligo è, dunque, il raggiungimento dell’autosufficienza economica, condizione che, in questo momento storico, è assai infrequente si verifichi al compimento dei 18 anni.
Nella legislazione vigente non si rinviene, tuttavia, alcun riferimento espresso circa la “durata massima” dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni, nè ulteriori parametri sulla base dei quali stabilire con certezza se il figlio sia economicamente autosufficiente e, di conseguenza, se il genitore possa essere esonerato dall’obbligo di mantenerlo.
Per risolvere tale questione, occorre dunque far ricorso ai parametri elaborati dalla giurisprudenza, che ha avuto modo di pronunciarsi assai spesso in merito.
Tale “autosufficienza” si ritiene raggiunta qualora il figlio abbia conseguito una capacità lavorativa adeguata alle concrete condizioni del mercato attuale e raggiunto un’età tale da poter ritenere concluso un percorso di studi idoneo a conseguire un livello di competenza professionale e tecnica tale da poter essere inserito nel mercato del lavoro (così, ex multis, Cass. Civ., n. 6509/2017; Cass. Civ., n. 5088/2018; Cass. Civ., n. 30491/2019; Cass. Civ., n. 19696/2019).
La giurisprudenza prevalente ha precisato, inoltre, sovente che l’onere di dimostrare che sussistono i presupposti per la revoca dell’assegno di mantenimento in favore dei figli grava sul genitore che richieda di essere esonerato da tale obbligo. Tuttavia, tale onere diviene sempre meno gravoso a mano a mano che si accresce l’età del figlio, in quanto al raggiungimento di un’età in cui in genere dovrebbero essersi conclusi gli studi universitari, si presume che il figlio abbia una professionalità tale da potersi collocare utilmente nel mondo del lavoro. Evidente è, infatti, che il Giudice debba compiere un bilanciamento tra l’interesse dei figli ad essere mantenuti e dei genitori a far sì che tale obbligo patrimoniale non si protragga sine die, trasformandosi di fatto in una “copertura assicurativa”.
Il genitore che voglia essere esonerato dall’obbligo di mantenimento del figlio ormai maggiorenne dovrà, pertanto, provare, anche mediante presunzioni, che il figlio è economicamente indipendente, ad esempio, in quanto ha trovato un’occupazione lavorativa da cui trae una retribuzione adeguata, oppure che, sebbene privo di occupazione, avrebbe comunque le capacità per collocarsi utilmente nel mondo del lavoro.
Riguardo all’onere della prova relativo alla cessazione dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne, la recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 17183/2020 (depositata il 14/08/2020), dopo avere ripercorso l’excursus normativo e giurisprudenziale relativo alla tematica che ci occupa ha affermato che “l’obbligo di mantenimento legale cessa con la maggiore età” e, pertanto, dopo il raggiungimento dei 18 anni spetterebbe al figlio che richieda l’assegno di mantenimento dimostrare il mancato raggiungimento dell’autosufficienza economica.
Nel valutare il raggiungimento dell’indipendenza dei figli maggiorenni, la Corte di Cassazione si è dimostrata particolarmente rigorosa, soprattutto nei casi in cui i figli avevano raggiunto un’età prossima ai trent’anni, ritenendo che la colpevole inerzia del ragazzo nella prosecuzione degli studi o nella ricerca di un lavoro, o il rifiuto ingiustificato di una posizione lavorativa adeguata rispetto alle proprie capacità non possa certamente gravare sul genitore.
Se, dunque, il figlio non vuole lavorare, ha abbandonato gli studi o continua a mutare corso di laurea o, ancora, è all’inconcludente ricerca di occupazioni ambiziose o di nuovi titoli di studio, si dovrà fare carico delle proprie aspirazioni (a maggior ragione ove le stesse non siano il linea con le condizioni economiche e di vita della famiglia di origine).
Allo stesso modo, la giurisprudenza ha ritenuto che non possa più sussistere alcun obbligo di mantenimento a carico del genitore laddove il figlio maggiorenne abbia contratto matrimonio o abbia formato un autonomo nucleo familiare (così Cass. civ. n. 24498/2006; Cass. civ. n. 1830/2011).
Occorre infine ricordare che, una volta venuti meno i presupposti per il mantenimento del figlio maggiorenne, la giurisprudenza esclude radicalmente che possa sorgere nuovamente qualche obbligo contributivo a carico del genitore, ad esempio, in ipotesi di perdita dell’impiego lavorativo da parte del figlio o di sopravvenienza di circostanze che lo rendano momentaneamente privo di sostentamento economico.
In tale circostanza, dunque, il ragazzo potrebbe aspirare, al più, all’ottenimento di un assegno alimentare, ove sussistano le condizioni di cui all’ art.438 c.c.
Avv. Alberta Martini Barzolai ©