Cannabis Light vietata dal Decreto Sicurezza 2025: guida semplice alle nuove regole

Decreto Sicurezza 2025: cosa cambia per la vendita e la coltivazione della Cannabis Light

In questi giorni il dibattito politico è stato infiammato dalla notizia che il Governo ha emanato il decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48 (cd. “decreto sicurezza“), recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario“.

Tale provvedimento è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale l’ 11 aprile 2025 e le sue disposizioni sono entrate in vigore dal giorno successivo; come stabilito dall’art. 77, Cost., esso dovrà essere convertito dal Parlamento entro 60 giorni dalla sua pubblicazione, in caso contrario le sue disposizione perderanno efficacia con effetto retroattivo.

Le principali novità normative sulla Cannabis Light

Tra i numerosi aspetti su cui va ad incidere il “decreto sicurezza”, vi è la normativa sulla c.d “Cannabis light”.

Infatti l’art. 18 del “Decreto Sicurezza” apporta sostanziali modifiche alla L. 242/2016, tese a vietare i commercio delle infiorescenze (fiori o cime) e delle resine della Cannabis Sativa Linnaeus, a prescindere dal contenuto di principio attivo (in questo caso THC), e dunque dalla sua idoneità a produrre un effetto stupefacente.

Per questo, le regole dettate in materia di coltivazione della cosiddetta Cannabis Light vengono modificate al fine di restringere significativamente il campo di applicazione della L. 242/2016, escludendo che essa si applichi alle infiorescenze, alle resine e agli oli da essa derivati.

La ragione di tale scelta è quella di “evitare che l’assunzione di prodotti costituiti da infiorescenze di canapa (Cannabis sativa L.) o contenenti tali infiorescenze possa favorire, attraverso alterazioni dello stato psicofisico del soggetto assuntore, comportamenti che espongano a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica ovvero la sicurezza stradale”, come testualmente indicato dall’incipit dell’art. 18 del D.L. sicurezza.

Dunque la coltivazione industriale della Cannabis Sativa L. resta lecita solo in quanto “comprovatamente finalizzata” agli usi consentiti; tra questi usi continuano ad esserci il florovivaismo, ma viene specificato che esso deve essere “professionale”.

La volontà del legislatore è chiara: escludere espressamente dal novero delle attività lecite la produzione e commercializzazione di Cannabis Light per uso ricreativo.

Qual è l’impatto del decreto sicurezza per gli operatori del settore?

Di conseguenza, nel novellato testo della L. 242/2016 viene previsto il divieto di importazione, lavorazione, cessione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione, consegna, delle inflorescenze di Cannabis Light anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, o contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati.

Ancora, in caso di violazione di tale divieto la riforma richiama le sanzioni previste dal Testo Unico Stupefacenti (D.P.R. 309/90).

Vi è una sola eccezione: è consentita solo la lavorazione di infiorescenze per la produzione agricola di semi destinati agli usi consentiti dalla legge.

Così, quindi, si pone di colpo fuorilegge un intero settore che fino al giorno prima era in piena crescita, mandando in fumo investimenti e mettendo a rischio centinaia di posti di lavoro.

Sicurezza pubblica e normativa europea: i dubbi

Dal punto di vista dell’operatore del diritto, la riforma pone grandissimi dubbi, sia per lo strumento utilizzato, che dovrebbe (almeno in teoria….) essere riservato alle sole situazioni di necessità e urgenza (es. pandemia, calamità…), che per le tempistiche che esso impone: nessuna vacatio legis, la norma è entrata in vigore dal giorno successivo alla sua pubblicazione.

E la Cannabis Light che si trova nei campi, o che è nei magazzini o sugli scaffali dei negozi?

Nulla per ora è stato previsto, neppure per lo smaltimento di un prodotto che è stato dichiarato illegale da un giorno all’altro.

In più, se si afferma che la volontà di questa riforma è quella di accrescere la sicurezza pubblica, possiamo veramente dire che questo risultato possa essere raggiunto in questo modo? In altri termini, se il bene giuridico che si intende salvaguardare è la sicurezza pubblica, come può tale normativa accrescerne la tutela?

Ancora, questa norma si pone in aperto contrasto con il diritto dell’Unione europea, dove viceversa la Cannabis Sativa L. viene espressamente qualificata come prodotto agricolo e può liberamente circolare: se è vero che gli Stati membri possono adottare misure restrittive alla libera circolazione delle merci, esse devono essere giustificate da ragioni di tutela della sanità pubblica, fondate su comprovate evidenze scientifiche, e devono essere idonee, necessarie e proporzionate alla tutela di tale interesse.

Ma dal punto di vista penale, cosa cambia con l’approvazione del decreto sicurezza?

Se dopo l’approvazione del Decreto Sicurezza cedo o detengo Cannabis light commetto un reato?

Nonostante l’intenzione del legislatore sia proprio questa, la risposta è negativa: non basta che le inflorescenze di Cannabis Sativa L. non siano più liberamente vendibili perché automaticamente la loro cessione o detenzione possa venire sanzionata dalle norme del Testo unico degli Stupefacenti, al pari di altri tipi di sostanze psicotrope.

Infatti, non basta che si tratti di Cannabis (più tecnicamente, non è sufficiente la conformità del prodotto al tipo botanico vietato dal T.U. Stupefacenti), bensì occorre sempre valutare l’effettiva capacità drogante del prodotto ceduto o detenuto, come chiarito dalla Corte di Cassazione (tra le altre con la sentenza emessa a Sezioni Unite n. 12348/2019 e che avevo commentato in questo articolo https://studiopalermomartini.it/pianta-casa-sezioni-unite/).

Se così è, il prodotto che sino a pochi giorni fa poteva essere liberamente venduto doveva avere un contenuto di principio attivo (THC) bassissimo, in ogni caso non superiore allo 0,6%, risultando così in concreto priva di qualsiasi effetto psicotropo.

Certo, il discorso potrebbe cambiare (ed in concreto è cambiato in diverse pronunce di merito) in presenza di quantitativi importanti ove, al di la della percentuale di principio attivo, il totale di THC può non essere piccolo.

In materia il riferimento è dato dalla c.d. “Dose Media Singola”, ossia viene preso a parametro un certo quantitativo di principio attivo (stabilito dal Ministero della Salute) che si ritiene convenzionalmente sufficiente per produrre effetto psicoattivo in un assuntore che, nel caso del THC, è pari a 25 mg.

Tuttavia questo ragionamento non convince: facendo un paragone banale, ci si potrebbe ubriacare anche bevendo una decina di litri di birra analcolica, in quanto essa contiene una bassissima percentuale di alcool; allo stesso modo, affinché possa produrre un effetto psicoattivo significativo, si dovrebbe assumere in un’unica soluzione circa 5 gr. lordi di Cannabis Light: chiunque abbia un minimo di familiarità con questa materia, sa che si tratta di un quantitativo significativo, tanto da non rendere l’assunzione concretamente attuabile.

Pare quindi difficile sostenere l’idoneità in concreto delle inflorescenza di Cannabis light a produrre uno stato di alterazione psico-fisica tale da giustificare la necessità di applicare lo strumento penale.

Dunque, anche se la cannabis light non è più legale, questo non comporta automaticamente che la sua detenzione o cessione integri un reato.

Certo, l’invito è quello di adottare sempre la massima prudenza possibile, in attesa dell’auspicata modifica del decreto sicurezza, su cui il Parlamento dovrà pronunciarsi nei prossimi mesi.

Avv. Patrizio Palermo ©

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